Sono un abitante litorale, ma anti-balneare. Tipa da spiaggia, libera. Una civetta tuona: “Bagnante in fibra di vetro si avvicina al lido presidiato, braccata perché non in lista”. Rimango sotto il sole del distanziamento sociale. No, non ce l’ho il kit con nastro e picchetti per isolarsi in spiaggia. Vivo in una casa a 1,1 km dal mare. 850 m² calpestabili per una superficie totale di m² 1002. False sense of security. La parola solidarietà è tornata tra noi, ma la povertà non resiste alle catastrofi naturali. $5,000 per procurarsi un presunto kit di sopravvivenza, $ 250 per più design e meno efficienza: people don’t understand risk very well. Non è che siamo proprio tutti-tutti sulla stessa barca, Francesco. In questi metri quadrati ho contato 50 finestre, è una nave questa casa, respira, pulsa e sfiata come una grossa balena, e noi che ci guardiamo da poppa a prua con gli occhi aperti come quelli dei pesci, dilatati, abbiamo assorbito tutta la luce di 50 finestre. La tv-acquario riverbera una disaster preparedness e ho paura di svegliarmi insensibile alla bruttezza, incline per resa alla mediocrità e all’aurora della quotidianità. Tutto, a causa di un’eccessiva esposizione, può diventare invisibile, come in certe fotografie di mezzogiorno e l’utilizzo improprio del mezzo, incuria, pressapochismo, la luce invade l’obiettivo, e il soggetto impallidisce in lattee iridescenze. La presenza più importante del dramma è il riflettore, ma che cosa resta fuori dal frame? Qualcuno si riscopre botanico, si professano nuove forme di pazienza, imparare a prendersi cura dell’attesa è un palliativo, è la cornice di ogni dpcm, ma il capitalismo continuerà a correre a 47 nodi con il suo motto “Mi dispiace, non ho tempo per vergognarmi come molti chiedono”. Senza accorgermene mi sono vestita da runner per stare in casa, maglia termica, cappello, chissà dove devo correre – è la mia nuova forma di ribellione. Sovversiva in fibra sintetica abusa delle proprie capacità motorie ed entra in contrasto con le regole dell’emergenza sanitaria. Siamo di fronte alla stagnazione dell’organismo collettivo. Questo è il vero dramma di proporzioni bibliche. L’altro come malattia: bleach is the new black. Il nostro stesso corpo ci fa paura perché ci è estraneo, diceva qualcuno. Paura arginata dalla certezza che sia sempre l’Altro a morire – noi che grazie al potere d’acquisto non torneremo cenere. Nella mitologia cinese l’arcobaleno è in realtà una spaccatura nel cielo. Essere ottimisti è da criminali. Tra le cose che mi danno fastidio ci sono le tasche cucite, i bottoni che si staccano quando sei in giro, fare il doppio nodo alle scarpe. Hanno tutte qualcosa in comune: ogni sentimento solidale è destinato a frantumarsi. La polvere ha ricoperto tutto qua, nella casa di famiglia, pulviscolo sulle palpebre, farina dolce, ogni terra mi dice non mi appartieni, non ti appartengo. Mi sento il corpo insidiato, sporcato, ritroso, ritorto.
Quanto è accaduto finora ci induce comunque a delle riflessioni.
Ora il mondo è ai posti di blocco, attende il fischio della ri-partenza. Prima i fast food, poi le spiagge. Il corpo è un letto scomodo per dormire. A mezzanotte mi sono calata in giardino, le scale mi hanno infilato le ciabatte di gomma nera lasciando quelle bianche di spugna sullo zerbino. Guardo le strane forme della nostra casa-astronave, i tetti triangolari, con i balconi che svettano come barche in mezzo all’orizzonte verticale. Penso a quanto può esserci di infermo in un corpo dichiarato sano. Alle subordinate dubitative che ci impastano la bocca segue un eccesso di possibilismo, la rivoluzione è facile se sai come farla. Per chi calcava la scena, adesso la platea non è più circolare, e il palcoscenico ha smussato i suoi angoli e ceduto la sua quadrangolarità – la balaustra è il nuovo palco in galleria. L’integrazione urbana che il teatro accorda a se stesso è sbaluginata nello spazio di percorrenza tra i miei accatastati affetti e il deserto delle vie dove la mia voce scopre di avere una giovane eco. Lontano dalle miniere burocratiche sembra rifiorire, hélas, è teatro in video – in vitro. Mi inebria la notte e una mancanza tattile,
Tutte le frasi in grassetto provengono da (in ordine di apparizione): Il Messaggero, The Telegraph, Al Jazeera, The New York Times, Business Insider, Alfabeta2, Il Fatto Quotidiano, Camera dei Deputati, La Repubblica, T. W. Adorno, Essere ottimisti è da criminali. Una conversazione televisiva su Beckett a cura di Gabriele Frasca, Doppiozero, La Repubblica.
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