Ricordo tre mesi fa il caos che assaliva la mia agenda: ogni giorno un tetris di appuntamenti, lezioni, chiamate, orari di pranzi e cene programmati, viaggi. Non ero più certa di dove vivessi: oggi ti chiedono presto di scegliere la tua strada, e una volta che la scegli la percorri, a testa bassa, esame dopo esame, obiettivo dopo obiettivo, e se ti servono soldi te li guadagni, e se non ce la fai allora sei un debole, uno sfigato, un perdente, non c’è tempo per fermarsi, solo chi è malato o ha dei problemi si ferma, ma bisogna stare attenti, altrimenti il treno passa e chissà se lo recuperi più. Vivevamo con la certezza che lavorando, correndo da una parte all’altra ce l’avremmo fatta. Ci sceglievamo la nostra realtà, o a volte qualcuno la sceglieva per noi, e ci convincevamo che fosse quella giusta. Perché interrogarsi se esistono realtà differenti dalla nostra, cosa succede nel mondo che ci circonda, perché? Magari ce lo chiediamo, leggiamo qualcosa, ma senza approfondire, e tutto cade nel dimenticatoio, perché per riflettere non c’è tempo. Forse un giorno ce l’avremo, ma non ora. Poi un giorno questo mondo viene a bussare alla tua porta. La natura non fa sconti e prima o poi viene a chiedere il conto. Un virus, che blocca tutto e tutti.

Férmàti. Fase 1. Prima settimana, in fondo non è male un po’ di riposo. Seconda settimana, la casa mi sta stretta e la routine non è più routine. Viene voglia di scappare, ma gli spazi che eri convinto ti appartenessero non sono più tuoi. Parchi chiusi, giochi per i bambini e sgambatoi per i cani sigillati. Persone, mamme con bambini che girano come criceti intorno a casa, per stare nel rango dei duecento metri, o per paura di incontrare qualcuno a cui fino al giorno prima stringevano la mano, ma che ora potrebbe essere infetto, e girano, portando la mascherina anche se sono da soli, le gocce di sudore e il respiro affannoso che impregna il tessuto, e girano, come carcerati a consumare l’ora d’aria, gli occhi vuoti, smarriti. Férmati. Te lo dicono il governo, la tua famiglia, le persone sui balconi. Andare a fare la spesa diventa un impegno, cercare l’orario giusto, il market giusto, studiando la lista come un piano di guerra sulla strategia da utilizzare per trovare la farina, la carta igienica o il lievito che ormai è diventato prezioso come una pepita d’oro. Andare a trovare i tuoi familiari o il tuo compagno diventa un lusso, e li vedi dietro lo schermo del pc o dello smartphone, accarezzano lo schermo, cercando di ricordarsi la sensazione della pelle sotto i polpastrelli, e quasi rimpiangi il momento di quel bacio o quell’abbraccio mancato, perché tempo non ce n’era. Fermàti, dalla nostra stessa realtà, quella che in certi momenti ci aveva fatto sentire padroni del mondo. Prima due settimane, poi un mese, due mesi. Intanto gli equilibri si invertono. Il corpo è fermo, ma la mente viaggia. Viaggia e aumenta l’angoscia, sentendo che la realtà di cui eravamo padroni ci sfugge dalle mani. Ora questa fase 1 è finita. Ci aspettavamo grandi cambiamenti, una presa di coscienza maggiore da parte della popolazione, un nuovo senso di fratellanza, dopo aver cantato ogni giorno a squarciagola dai balconi, dopo aver provato l’assenza di contatto con i nostri amici, con i nostri cari o “congiunti”, come vengono definiti adesso. Un po’ intorpidita scendo tra le strade della mia città, e negli occhi delle persone leggo quella stessa angoscia, così presente nella fase 1, con la paura che gli spazi che credevano sicuri non lo saranno più. Girano impauriti dallo sfiorare una persona sconosciuta, dal colpo di tosse che proviene dall’altra parte del marciapiede, o dalle risate dei ragazzi seduti sugli scalini a mangiarsi un gelato, godendosi l’aria di primavera. È quel tipo di angoscia che affianca la certezza che dovremo riprogrammare la nostra realtà, rimettere tutto in discussione, ma senza sapere realmente dove andremo a finire.

Guardo la mia agenda che timidamente ricomincia a prendere vita, in una città ancora intorpidita, come se si fosse appena risvegliata da un lungo letargo, dove i cittadini tentano di tornare alla sicurezza della routine precedente, ma che tante sicurezze ora non ne dà. Entrati in questa fase 2, dove commercianti e ristoratori puliscono i loro locali e cercano di adattarli alle nuove norme, dove le file interminabili ai market ancora non sono finite, e dove i giri intorno a casa e le passeggiate sono rimasti, aumentando solo il raggio di percorrenza, emergono tutte le fragilità di un sistema datato e di una società stanca e corrosa. Mi chiedo se in questa realtà in continuo cambiamento dove tutto sembra sfuggirci dalle mani possa esserci un modo di trovare un appoggio, uno spazio dove mettere le fondamenta per ricostruire la realtà che vogliamo. Ripenso allora all’apparente immobilità della fase 1, dove attraverso la mancanza abbiamo riscoperto il valore dei legami. Penso a quel tempo che avevamo, talmente tanto che non sapevamo come utilizzarlo, di cui forse per una volta siamo stati veramente padroni. Penso all’utilizzo delle nuove tecnologie per tenerci in contatto, per lavorare, per non far morire progetti pregressi, ma anche per unirci e dar voce alle nostre incertezze, alle nostre paure, alle nostre proteste. E penso al valore di ognuno di noi, ugualmente necessario per ripartire, perché in fondo la nostra società è un po’ come lo schermo diviso di Zoom, dove c’è chi gestisce la riunione, chi parla di più, chi resta in silenzio e lavora nell’ombra, chi partecipa facendo altro e chi sta lì per curiosità, o perché è costretto a starci. Penso a ciò che abbiamo creato, ai gruppi che sono nati e agli incontri, dove ognuno di noi ha avuto un ruolo differente ma necessario, per dar vita a quelle voci, a quegli scritti, a quella volontà di esistere e protestare per i propri diritti che come tante fiamme si sono accese. Penso che sia proprio da questo fuoco che dobbiamo ripartire, perché né il tempo, né il virus, né l’alternanza delle fasi potrà spegnerlo. Tenerlo acceso, vivo, dipende solo da noi.

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  1. Grande Giulia! Hai sigillato la nuova dimensione con cui ognuno di noi ha dovuto convivere fino ad esserne risucchiato: immobili, senza possibilità di contrastare quella surreale sensazione di silenzio assordante, arrendevoli come mai…in chi legge le tue riflessioni si scatena sicuramente la voglia di leggerci ieri… Oggi…. Domani… Attendo le tue riflessioni sulla fase 2..3……e la rinascita che spero ci veda tutti si provati ma anche più “cresciuti”…. Con il fuoco dentro per farci risorgere.
    Ancora complimenti ✌

  2. Condivido le riflessioni profonde di Giulia ,ma mi auguro che questa fiamma ci porti ad essere migliori e no come in questo momento che vedo solo cattiverie e meschinità….. Grazie per farci riflettere

  3. Giulia, sempre più brava! Gran bella analisi, profonda e accurata. Per me è sempre una gioia leggerti e sempre di più mi convinco che questa è la tua strada. Il racconto, la narrazione o la pièce teatrale partono da te e diventano universali. Non mollare mai. 🤩🤩😘😘